Anna Esposito
What I’ve done
Curated by Davide Mariani
Alla Gramma Epsilon inaugura la mostra “What I’ve done” di Anna Esposito che prosegue il programma espositivo della galleria ateniese dedicato alle artiste protagoniste della scena italiana degli anni Settanta.
La rassegna, che rappresenta la prima antologica di Anna Esposito (Roma 1935) in Grecia, è prodotta in collaborazione con lo spazio indipendente Lettera_E di Roma, e propone una selezione delle opere più dissacranti dell’artista realizzate nell’arco di cinquant’anni di attività. Dislocata in due sedi espositive, nello spazio indipendente romano Lettera_E e ad Atene alla galleria Gramma_Epsilon, sarà visitabile fino al 1 ottobre 2022.
La mostra, realizzata con il patrocinio dell’IIC di Atene, sarà accompagnata da un catalogo edito da Gli Ori e curato dallo stesso Mariani.
«Dopo il successo della retrospettiva dedicata a Mirella Bentivoglio – dichiarano Paolo Cortese e Francesco Romano Petillo, responsabili della Gramma_Epsilon – siamo felici di offrire al pubblico greco la possibilità di conoscere Anna Esposito, artista poliedrica e visionaria che, grazie alle sue opere, ha messo in luce, spesso con largo anticipo, le problematiche e le contraddizioni della società in cui viviamo. Il nostro intento è quello di rendere omaggio alle grandi personalità femminili che hanno saputo giocare un ruolo fondamentale nella scena artistica degli anni Settanta, le cui opere ancora oggi risultano estremamente contemporanee».
Svelare l’inganno.
Curata da Davide Mariani, la mostra riunisce, nel complesso, oltre trenta opere, tra rilievi, collage e décollage che rappresentano lo specchio di precisi giudizi poetici sui miti, i personaggi, le tragedie e le speranze di oggi. Smitizzare e denunciare, sono questi gli intenti primari delle sue opere che, fin dai primi anni Settanta, hanno evidenziato il suo interesse nei confronti della realtà circostante. Un percorso il suo che, sebbene abbia incrociato protagonisti e correnti riconducibili alla Pop art italiana e al Nouveau Réalisme, da Schifano a Rotella, è rimasto scevro da qualsiasi tipo di incasellamento o etichetta e ha saputo rinnovarsi con grande originalità. «Con il mio lavoro cerco di mettere in luce le parti nascoste della verità – dichiara Anna Esposito – cerco di essere dentro le cose, come in un impasto per assaporarne tutti gli umori e tirar fuori i veleni.»
Dal mondo per il mondo.
Attraverso una serie di filoni tematici che spaziano dalle questioni sociali, come l’immigrazione, la religione e la guerra, a quelle ambientali, come il cambiamento climatico e l’inquinamento, la mostra restituisce la profondità di un’arte senza filtri che arriva dritta allo spettatore. Questa sua attitudine era già stata evidenziata nel 1976 da Maurizio Fagiolo in occasione della prima personale in un’istituzione pubblica, quella al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, in cui rimarcava come l’operazione compiuta dall’artista non consistesse tanto nell’affollare il mondo di nuove immagini, ma di prendere dal mondo le immagini già esistenti per rielaborarle secondo la sua personale visione.
La critica, in questo caso, consiste nella accumulazione, nella sottrazione, nella moltiplicazione, nella divisione dei soggetti/oggetti e quindi dalla sua capacità di esaminare il mondo servendosi del mondo stesso, come in Sventagliata di mitra (1972) e Un esercito (1974), entrambe esposte nel 1978 anche nella storica mostra al femminile curata da Mirella Bentivoglio per la Biennale di Venezia tenutasi ai Magazzini del Sale. A distanza di cinquant’anni, l’artista ha sentito la necessità di realizzare una nuova versione di Sventagliata di mitra (1972/2022) che sarà presentata per la prima volta ad Atene, proprio insieme a Un esercito (1974), come ulteriore tassello di riflessione volto a rimarcare quanto la guerra, ieri come oggi, continui a causare dolore e sofferenza: «pensando all’uomo in generale e alla società, me compresa, provo un senso di compassione per questa storia che ci è data da vivere – prosegue Esposito – il mio non è mai un giudizio definitivo ma è come se io ambissi a un riscatto dell’uomo, ad una realtà un po’ più umana perché la società contemporanea ci sta disumanizzando».
Cosa ho fatto?
Passando in rassegna le opere in mostra si ha la sensazione di assistere alla inesorabile narrazione del disfacimento del nostro pianeta: gli alberi si trasformano in fumaioli (Albero ciminiera, 2003), le case distrutte dalla guerra in puzzle per bambini (Bosnia, 1992), i prati in distese di rifiuti (Sguardo ecologico rosso, 1974) e gli animali in Progetti di sartoria (1985). I mappamondi appaiono consumati nei loro contorni ormai sbiaditi (Atlantis, 1991), le bottiglie contenenti messaggi di aiuto sono di plastica e racchiudono barconi di migranti (S.O.S, 1998), così come un tronco trafitto da motoseghe allude all’icona di sofferenza San Sebastiano (1992/2022).
Per lungo tempo ci siamo illusi che l’eden terrestre fosse eterno e abbiamo promosso stili di vita sempre più lussureggianti senza mai pensare che in seguito si potesse rivelare il rovescio inquietante della medaglia: «Cosa c’è dietro le patinate immagini di una natura rigogliosa, di città del benessere, di spiagge pulite e solitarie, di boschi rugiadosi, di personaggi in primo piano sorridenti e suadenti? Dietro ci sono montagne di rifiuti, città assalite dal cemento, mari di plastica e di carta, fiumi inquinati e fiumane di persone che vagano alla ricerca della terra promessa, valanghe di fango che trascinano con sé sono i più disperati, giovani con le braccia incrociate in attesa del Messia, sostiene la Esposito». In un siffatto scenario, ciascuno dovrebbe sentirsi chiamando in causa e porsi la fatidica domanda: cosa ho fatto?