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Tomaso

Binga

Salerno 1931

Biografia

Tomaso Binga è nata a Salerno nel 1931. È l’alter ego di Bianca Menna Pucciarelli, e una delle maggiori esponenti della Poesia Visiva e Sonora in Italia. Attiva dagli anni Sessanta, la sua pratica artistica, caratterizzata da scrittura e gesto, parola e corpo, è caratterizzata da un’analisi critica ironica e antiretorica del linguaggio dominante.
Divenne più conosciuta solo nel 1977, quando alla Galleria Campo D di Roma scelse uno pseudonimo maschile nell’arte, per deridere e criticare i privilegi maschili sostenuti dal mondo artistico.
La sua ricerca, tra scrittura verbale-visiva e poesia sonora-performativa – dove il corpo è intermediario tra messaggio e spettatore – mira a stupire e far riflettere, con sarcasmo, grottesco e luoghi comuni, sul senso e il non-senso nelle immagini e nella poesia, con una spiccata inclinazione alla dissacrazione e alla denuncia sociale, come, ad esempio, in E non uscire di casa (1977), Oggi Spose (fine 1970), Abecedario (1981), Indovina cos’è (1987), Rimerotiche (1992) e Vorrei essere un vigile urbano. Alla fine degli anni ’70, Mirella Bentivoglio la invita a partecipare a Materializzazione del Linguaggio alla Biennale Arte 1978.
Il suo lavoro è stato esposto alla Galleria l’Oggetto, Caserta (1971), Galleria l’Obelisco, Roma (1974), Galleria il Canale, Venezia (1976), Museo di Castelvecchio, Verona (1977), Biennale di Venezia (1978), Biennale di San Paolo (1981), XI Quadriennale, Roma (1986), Museo MADRE, Napoli (2013), Rongwrong, Amsterdam (2022), Biennale di Venezia (2022), e altri.

Testo critico

“Le mie opere vogliono soprattutto stupire ma anche far riflettere un pubblico, prevalentemente distratto, sul vero significato del sense e del non sense inscritto in una immagine, in una poesia, in una performance dove la voce e il ritmo diventano corpo della parola.
Questa pratica dell’arte che ha accompagnato tutto il mio percorso artistico, ha trovato nell’uso della parola, del gesto e del corpo, un suo esito organico. (…)
Ironia e grottesco, denuncia e dissacrazione, non sense e luogo comune e il sonoro più stereotipato del mondo tecnologico sono stati gli ingredienti principali delle mie poesie performative che con la poesia sonora si sono arricchite della energia corporea necessaria a stabilire un tramite più diretto tra il testo e il fruitore.”

_Tomaso Binga

“Queste caratteristiche (nel lavoro di Binga) entrano in contraddizione con lei rapporto con il mondo, secondo un procedimento classico nella storia dell’arte contemporanea: quello del lavoro sul ready-made avviato all’inizio del XX secolo. Le contraddizioni consistono nel fatto che lavorare con lo stereotipo significa confrontarsi con tutti e allo stesso tempo con un elegante twist fantasioso per realizzare il
sparire lo stereotipo e trasformarlo in un’invenzione liberatoria.
Ogni volta ha toccato un segno, un oggetto, un frammento degradato rendendolo elemento
del suo personale codice artistico, Tomaso Binga, come una fata, lo trasforma in un’invenzione mai vista
Prima.”

_Simonetta Lux