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Elisabetta

Gut

Roma 1934

Biografia

Dopo una prima esperienza pittorica, d’impronta postcubista e poi informale, l’artista italo-svizzera si è volta a sperimentare i rapporti tra immagine, scrittura ed elementi naturali, elaborando collage e assemblage che si inseriscono in una ricerca poetico-visiva. Fogli manoscritti rilegati con filo e foglie, spartiti musicali collocati all’interno di semi, libri in gabbia o gabbie di libri, le sue opere sono state presentate in importanti rassegne: Materializzazione del linguaggio (Biennale di Venezia, 1978); Arte come scrittura (Quadriennale di Roma, 1986); Fotoidea (Biennale di San Paolo, 1994); Post scriptum. Artiste in Italia tra linguaggio e immagine negli anni ‘60 e ‘70 (Biennale Donna di Ferrara, 1998). Sue opere sono conservate al MUSINF di Senigallia, MART di Trento e Rovereto, Centro Pecci di Prato, MA*GA di Gallarate, MRAG di Maitland e NMWA di Washington. Dal 1956 ha tenuto oltre 30 mostre personali in gallerie e musei italiani e esteri, nel 2009 alla Galleria Cortese & Lisanti di Roma, al National Museum of Women in the Arts di Washington e al Mailand Regional Art Gallery di Maitland (Australia).

“L’artista ha raggiunto l’attuale maturità attraverso un iter operativo che è stato un ininterrotto arricchimento di esperienze: polimaterico, ricerche optical, poesia visiva, fino al traguardo di questa sua tecnica mista capace di accomunare ciò che è lontano, in una continua scoperta di somiglianze: il ramo e la scrittura arcaica, il fiore e la scrittura orientale, il guscio vegetale e la copertina del libro, il filo e il segno, il merletto e l’ideogramma, anche qui sconvolgendo i piani dell’esperienza e ponendo natura e cultura su uguali livelli. Così il groviglio segnico del suo passato pittorico è divenuto la scapigliatura dei suoi libri ritagliati, un groviglio oggettualizzato, una cancellazione volumetrica ottenuta a colpi di forbice. E i reperti tessili, i ricami che trent’anni prima inseriva nella tela-quadro, rivisitando il taglio di Fontana per sublimare nei valori di luce l’anonimo contributo femminile, si ritrovano nelle scritture arabe e cinesi che le sue mani ora scontornano e affondano in acquari di vuoto voluminoso. Tutto può entrare in questo ciclo di implicite metafore, e manifestare la somiglianza del creato con gli strumenti della conoscenza e dell’armonia. Come i nomi di poeti formano piume, così i semi distanziano fili per strumenti musicali immaginari, guide ad un ascolto interiore.
Negazione e affermazione per questa artista si identificano. Fu la prima ad usare il filo come segno di cancellazione e di scrittura musicale, pentagramma e insieme corda per vibrazioni inudibili. Ed è proprio la sua scontrosità a garantire la sua intensità. Il difficile, in operazioni che, come questa, riprendono un’iconografia largamente connotata come poetica, è la capacità di sottrarla ad ogni poeticismo predisposto, per riacquisire, grazie al magistero della fantasia, una freschezza nativa dentro le strutture stesse della cultura. Così la Plume de Poète è anche la Plume d’artiste, strumento non più letterario di comunicazione globale, triplice segno di natura, di scrittura, e di levità.”

_Mirella Bentivoglio.