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Francesca

Cataldi

Napoli 1944

Nata a Napoli il 28 novembre 1944, Francesca Cataldi dopo un primo approdo alla pittura a tempera e olio su carta sceglie di impiegare materiali poveri urbani, quali il cemento, ingabbiato da fili metallici per divenire oggetto sociale con funzione di colloquio, la resina che, impastata con segatura, assume le sembianze dell’ambra chimica in grado di conservare la memoria del materiale e contenere scrittura, il catrame che, impiegato a caldo, fornisce filature sinuose, arterie di percorsi mentali e pentagramma di risonanze interiori, e il vetro, che è fuoco e trasparenza al contempo. Grazie al libro e alla sua struttura l’artista indaga il fascino delle sovrapposizioni e la potenza della narrazione incarnata nella materia. Convinta che il filo sia struttura in ogni cosa, Francesca Cataldi aderisce negli ultimi anni all’elaborazione digitale e associa la sua visione a nuovi modi di fare arte. Infatti se il ruolo dell’arte è «giocare presentando se stessi rivivendo momenti e facendo rivedere gli altri in quello che viene presentato», è necessario continuare a sperimentare secondo lo sviluppo di un pensiero estetico che risulta figlio di un costante immagazzinamento di rimandi e associazioni sensoriali.

Protagonista di mostre personali e collettive in Italia e anche all’estero, l’artista ha preso parte alle Biennali di Venezia, è stata consulente per l’arte per la fiera del Libro di Napoli e a RAI International, ha insegnato presso l’Europäische Kunstakademie di Treviri (Germania) portando il cemento allo stesso livello del marmo e il ferro da stiro a quello del pennello; le sue opere sono presenti in musei italiani, in Giappone, Brasile e Londra e in collezioni private (Germania, Austria, Australia, Svizzera, Stati Uniti, Brasile, Inghilterra). 

Prolifica interprete del mondo artistico femminile, Francesca Cataldi, «cantastorie della materia», vive e opera a Roma.

I materiali della mia ricerca, o semplicemente del mio andare, sono: ferro, cellulosa, catrame, cemento, vetroresina e vetro che mi accompagnano nel mio percorso, che partito, da Napoli ed è approdato in Germania. Paese dove insegno scultura: di materiali non tradizionali, utilizzando i metalli delle discariche, e le immagini ricavate attraverso fotografie rielaborate al computer. Questo insegnare in un mondo di matrice culturale diversa, mi dà il privilegio di rimettermi in discussioni ogni volta artisticamente ed umanamente. Interpretarli, con il filtro della mia storia e della educazione visiva ed umana, è una grande ginnastica per la mia creatività. Dalla pittura informale alla materia raggrumata e connessa, il mio percorso continua usufruendo sia di recuperi che di strutture costruite appositamente, sin dai tempi dei cementi, in cui inglobavo tutti i miei ferri quasi con gelosia nella malta: Dai segreti del dentro a l’opera da fruire. Alle diapositive proiettate sugli edifici delle città, pellicole filate col catrame, in cui la materia scrive la sua storia sulle pagine edificate dagli uomini. Dal dentro al fuori, ed ancora, dal fuori al dentro il mio percorso continua con le superfici di cellulosa coagulate sulle reti, fino alle carte dove si sovrappongono le immagini antiche di recupero, che fotografate rielaborate finiscono per diventare altro. Oggi che di nuovo inglobo nella malta del vetro, cascami recuperati agli sfasci del ferro, metalli che ci raccontano storie di distruzioni e rinascita, memorie rivisitate. Questi segni li ho sovrapposti, li ho fusi, li ho messi a maturare sotto l’acqua, nella ruggine, nel vetro, nel forno li ho riscaldati, per poi passarli a lo scanner del mio computer, ed attraverso questo ridiventare segno, e poi ancora materia e quindi definitivamente opera. Come tale affrontare l’ultimo passo: l’installazione nell’abitato, sulle case degli uomini e nelle case degli uomini, per cercare di comunicare con essi. E’ un trapianto senza rigetto, è come un ritorno di quei brandelli di memoria che trovano la giusta connotazione tra le cose e le case, anche esse stratificazioni operate dagli uomini che prima di noi hanno affrontato l’impervio percorso del progredire.

_Francesca Cataldi