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Franca

Coen Sonnino

Biografia

Franca Coen nasce in una famiglia di origine ebraica il 13 febbraio del 1932, a Roma, dove vive e lavora. L’inizio del suo percorso artistico può essere ricondotto all’incontro con Maria Lai, che abita in quegli anni al piano sottostante il suo appartamento, in zona Balduina. Non si tratta di una prossimità casuale, bensì di una precisa convergenza, dettata da un’alchimia ricca di fascino e di significato. In virtù di tale convergenza Sonnino accoglie la sollecitazione di Lai ad usare “le mani per fare oggetti inutili, non cose utili”, assumendola come fosse un mantra capace di trasformare la conoscenza. Nel corso del tempo trasforma così l’esecuzione dei lavori casalinghi cui aveva amato dedicarsi, quali ad esempio la maglieria, in un processo che sfida, appunto, il concetto di utilità, mettendo in discussione il rapporto di percezione del soggetto con l’oggetto e le convenzioni con le quali siamo abituati a leggere la realtà che ci circonda.
Le sue prime opere sono costituite da dipinti di linee e fitti reticoli, somiglianti a delle filature, che nascono da un’intima visione dell’artista, non da modelli euclidei o da rigidi schemi di disegno. Nel corso degli anni Settanta, il filo dapprima introdotto come soggetto ed elemento “ausiliare” nei quadri, diventa medium privilegiato, sostituendo definitivamente, dalla fine del decennio, il pennello. Negli anni Ottanta, Sonnino inizia a lavorare a oggetti tridimensionali e installazioni, presentati in numerose esposizioni, in cui il filo, quasi sempre di cotone, avvolge una struttura in fil di ferro. Da quei momenti aurorali a oggi, Franca Sonnino è stata protagonista di quasi trenta mostre personali e ha preso parte a circa duecento mostre collettive in tutto il mondo. Nel corso degli anni Ottanta, dopo aver tenuto numerose personali in diverse città italiane (Milano, Napoli, Imola, Savona, Bari e Roma), l’artista è presente in un’altra fondamentale mostra collettiva al femminile, “Filo, Genesi e Filogenesi”, curata da Mirella Bentivoglio alla Galleria Arte Duchamp di Cagliari. Nel 1982 le sue opere viaggiano per la prima volta all’estero, dirette dapprima a Barcellona, per la collettiva “Fil‘Sofia. El concepte del fil en la dona-artista” curata da Bentivoglio al Metronom, e successivamente in Australia, presso la Quentin Gallery di Perth e di Sidney. Gli anni Novanta partecipa a numerose collettive, tra le quali spicca la mostra al Jonkers Education Art Center di New York “Photoidea”, a cura di Bentivoglio. Nel 2000 la voce ‘Franca Sonnino’ compare all’interno del quinto volume dell’ enciclopedia “Storia dell’Arte Italiana del Novecento”.  Nel 2019 le opere Franca Sonnino e Maria Lai vengono di nuovo esposte insieme al Museo del tessile di Busto Arsizio nella mostra “Maria Lai e Franca Sonnino Capolavori di fiber art italiana”. Nello stesso anno la Repetto Gallery di Londra, organizza l’esposizione “Threading Spaces – Nedda Guidi, Elisabetta Gut, Maria Lai, Franca Sonnino”, a cura di Paolo Cortese.

Testo critico

Con una matassa di filo di ferro e qualche rocchetto di filo di cotone, Franca Sonnino si accinge a ricostruire il mondo. Il suo microcosmo è definito da un segno sottile, continuo, a volte sommesso, sempre inteso comunque a cogliere del reale l’essenza profonda, non il dato contingente, l’intima sostanza della struttura non la mutevole apparenza della sovrastruttura. Col risultato che i suoi paesaggi, le sue nature morte, i suoi mosaici attingono una condizione di immaterialità, di precarietà, che se da un lato suggerisce una sensazione di levità, d’altro canto rivela una provata attitudine a penetrare oltre la pelle dell’esperienza per impadronirsi del nucleo di essa. Così, usando un segno essiccato sino all’inverosimile, incredibilmente Sonnino diviene scultrice, modellando il vuoto assediando lo spazio con un fitto reticolato di tensioni, all’interno del quale si riesce ad immaginare il cumulo di sensazioni, che l’hanno originato. Destrutturare il reale per rivederlo in forma diversa, poeticamente motivata ma al tempo stesso verosimile, togliere consistenza alla prosaicità delle cose e riproporle tuttavia in forma credibile.In questo consiste il lavoro dell’artista ei giochi d’ombre che le sue forme intraprendono costituiscono l’inconfutabile prova del nove della loro esistenza, l’indizio certo della immanenza della poesia al di là dell’incredulità, la certificazione del suo ostinato voler essere al di là del quotidiano e dell’effimero. Se in passato il legame con la realtà, pur ridotto all’osso e a lungo decantato, si leggeva abbastanza agevolmente, oggi affiora invece nella serie dei “mosaici” una tensione ancor più spiccata all’astrazione, all’adozione di moduli regolari, di forme geometriche, di una sintassi articolata ma fondata sulla serialità. Non è una fuga verso l’irrazionale, non è l’abdicazione dalla comunione con le cose del mondo, ma solo un mutamento dovuto agli strumenti con cui l’artista guarda ad esse.  E’ come se avesse avvicinato l’occhio alla lente del microscopio, per godere dell’armonia perfetta, ma niente affatto artificiale insita nella struttura di un cristallo o nella tela di ragno.

_Lia De Venere