Elisabetta Gut

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Elisabetta Gut Roma 1934

(…) L'artista ha raggiunto l'attuale maturità attraverso un iter operativo che è stato un ininterrotto arricchimento di esperienze: polimaterico, ricerche optical, poesia visiva, fino al traguardo di questa sua tecnica mista capace di accomunare ciò che è lontano, in una continua scoperta di somiglianze: il ramo e la scrittura arcaica, il fiore e la scrittura orientale, il guscio vegetale e la copertina del libro, il filo e il segno, il merletto e l'ideogramma, anche qui sconvolgendo i piani dell'esperienza e ponendo natura e cultura su uguali livelli.(…)

E i reperti tessili, i ricami che trent'anni prima inseriva nella tela-quadro, rivisitando il taglio di Fontana per sublimare nei valori di luce l'anonimo contributo femminile, si ritrovano nelle scritture arabe e cinesi che le sue mani ora scontornano e affondano in acquari di vuoto voluminoso. Tutto può entrare in questo ciclo di implicite metafore, e manifestare la somiglianza del creato con gli strumenti della conoscenza e dell'armonia. Come i nomi di poeti formano piume, così i semi distanziano fili per strumenti musicali immaginari, guide ad un ascolto interiore.

Negazione e affermazione per questa artista si identificano. Fu la prima ad usare il filo come segno di cancellazione e di scrittura musicale, pentagramma e insieme corda per vibrazioni inudibili. Ed è proprio la sua scontrosità a garantire la sua intensità. Il difficile, in operazioni che, come questa, riprendono un'iconografia largamente connotata come poetica, è la capacità di sottrarla ad ogni poeticismo predisposto, per riacquisire, grazie al magistero della fantasia, una freschezza nativa dentro le strutture stesse della cultura.

Così la Plume de Poète è anche la Plume d'artiste, strumento non più letterario di comunicazione globale, triplice segno di natura, di scrittura, e di levità.

Mirella Bentivoglio.

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